lunedì 10 marzo 2025

Amatrice, un silenzio che non finisce mai!

 

Ci sono momenti nella vita che si faticano a cancellare. Come la mattina di quel 24 agosto del 2016. Durante la notte e al mattino presto, due scosse molto forti. Non sapevo dove fosse il terremoto. Accendo la televisione e risuonano le parole del sindaco di Amatrice. Un colpo al cuore, Paolo (nome di fantasia) e la sua famiglia sono di Amatrice. Ma saranno li? Provo a contattarlo ma non ricevo risposta. Entra sempre la segreteria telefonica. Mentre prendo il caffè al bar, mi arriva la sua telefonata e le parole sono queste "Mauro una tragedia, sono morti mia madre, mio padre, mia sorella e mio cognato". Non riesco a capire, non ci credo. Lascio il caffè nella tazzina , esco dal bar e cerco di riordinare le idee. E' tutto molto difficile, le notizie che provengono da li e dai luoghi limitrofi sono devastanti. L'unico modo è andarci direttamente. Ho anche il telefono scarico. Con non poche difficoltà riusciamo ad arrivare ad Amatrice. Vedere quel disastro è una foto che ti rimane impressa dentro. L'Amatrice di prima non c'era più. Quasi tutto distrutto. Molti corpi distesi sotto teli bianchi. Il cimitero con le bare che sono uscite fuori dai loculi. Gente che chiede notizie dei propri cari e amici. E di Paolo non ho notizie, non riesco di nuovo a contattarlo. Soltanto nel tardo pomeriggio di quelle funesta giornata  riuscirò a vederlo. E sarà un incontro senza parole. E dopo più di otto anni, lo scorso martedì sono tornato a Amatrice. E quello che ti colpisce è il silenzio, un silenzio che sa di sconfitta. Sconfitta nei confronti della natura e sconfitta delle istituzioni verso la gente. Entriamo con la macchina dalla parte finale della città, dove rimangono i resti di una pompa di benzina. Ci sono tanti cantieri, ma solamente una cosa svetta tra quelle macerie, la torre civica con il suo orologio fermo negli anni alle 3.36 del mattino. E adesso invece le lancette hanno ripreso a muoversi. Ma solo questo c'è. Tutto intorno è la tristezza che ti pervade l'anima. Non riesco a trovare le strade che c'erano prima e dove erano  collocate. Una foto ricordo rende l'idea di come era tutto questo fino alle 3.35 del 24 agosto 2016. Vedo la caserma dei carabinieri e un bar alla fine del vecchio vialone con l'indicazione di ordinare i panini, il giorno prima per quello successivo. E ci sono le famose soluzioni emegenziali  abitative. Sono parecchie. C'è l'albergo che ha rivisto la luce nel dicembre del 2022 grazie alle più moderne tecniche di costruzione antisismiche. Poco prima c'è la chiesa o parte di essa, con la torre campanaria anch'essa puntellata e quasi tutta distrutta. E allora vedendo le Sae, le soluzioni emergenziali abitative, ti rendi conto della resilienza di questa comunità, la quale continua a lottare , oltre che contro la burocrazia, anche contro il generale inverno, per mantenere viva la propria identità storica e culturale. E anche solo un piatto di amatriciana, rende l'idea dell'orgoglio con cui questa gente spende il proprio nome nel mondo. Ma rimane quel silenzio che  ti pervade, ti lascia solo e ti fa riflettere. E' un silenzio solo  rotto  da qualche rumore di martello pneumatico o di gru. C'è una piccola colonia felina, anche loro partecipano alla ripresa della vita ed a una sorta di normalità.  Passa anche lo scuolabus ed un accenno di sorriso fa capolino. Dove ci sono i bambini c'è speranza. Quella speranza che fa da contraltare alla tristezza e al magone che mi avvolge nel momento in cui , con la macchina, ripercorro, nel nulla,  la strada per tornare a Roma e con l'immagine della torre civica che  diventa sempre più piccola.